Lorenzo Bandini
di Giacomo Sironi

Estratto da "Ferrari World" n.48 del 1997

Per l'automobilismo, date e nomi dei piloti, ancora prima delle vetture, sono riferimenti obbligati, che fanno parte della storia del motorismo su quattro ruote. Indipendentemente dai risultati, dai successi più o meno frequenti ed esaltanti, sfuggendo alla norma sportiva, c'è una Ferrari che fa sempre cartello, un logo a scudetto col Cavallino Rampante su campo giallo, che ricorda mezzo secolo di automobilismo sportivo. E c'è sempre un pilota che, più di un altro, quando scompare o appende il casco al fatidico chiodo, lascia dietro di sé un alone di particolare affetto. Quando si parla della Ferrari, poi i ricordi sono tanti. E se, come accadde a Lorenzo Bandini - uno degli ultimi "romantici" che, venuti dal nulla, divennero protagonisti del circo della Formula 1 e delle Sport degli anni '60 -, un pilota a soli 32 anni e all'apice della carriera, viene distrutto in un agghiacciante rogo, l'Italia sportiva ed il mondo ferrarista subiscono un trauma senza precedenti. Per questo Bandini è rimasto, anche dopo trent'anni dalla scomparsa, nel cuore degli appassionati dell'automobilismo, ben oltre il pianeta Ferrari. Non fu un campionissimo ma un ottimo pilota, in assoluto uno dei più preparati in campo tecnico pur trovandosi in squadra in un momento difficile e di crescita della Ferrari, vinse diverse corse iridate con i Prototipi ma soltanto un Gran Premio di F1, quello d'Austria, a Zeltewg nel '64, contribuendo in modo determinante, sempre in quell'anno, a fare vincere il mondiale al compagno di scuderia John Surtees. I passaggi della breve ma intensa vita di Lorenzo Bandini sono diversi, tutti importanti, quasi dettati per farne un originale romanzo dei giorni nostri. Quanti ingredienti, c'è proprio tutto. Dalla genesi della famiglia Bandini in Cirenaica all'infanzia prima dolce poi cruda e drammatica di Lorenzo dopo il rientro in patria, dall'ascesa e il realizzarsi di un sogno al successo sulla "rossa" del Cavallino, alla tragica fine in una nuvola di fuoco. Un passo indietro, per ricordare. Lorenzo, dai 10 ai 16 anni tempra, con pochi ma fondamentali valori, la sua formazione di uomo. Negli anni d'infanzia si intrecciano le dolci note materne ad altre bagnate da lacrime per la perdita del padre. Così la sorella Gabriella ricorda il ritorno, dalla Romagna, alla "materna" Reggiolo: «Profughi, arrivammo a Reggiolo. Era tempo di fiera: per noi due bimbi sembrava il paese dei balocchi. Lasciammo la Romagna devastata dalla guerra, macerie, miseria, gente incupita e triste. Reggiolo, rimasta intatta, era tutta ordine e luce. Così almeno ci sembrava. I bambini erano ben nutriti, ben vestiti, con le scarpe. Noi due, invece, eravamo nutriti e vestiti solo dall'amore di nostra madre. Così iniziò la nostra prima giovinezza a Reggiolo, tra persone generose, in una terra generosa. Lasciammo sepolta nostra madre nella sua calda terra. Noi continuammo, anche se distanti, a ricordarci quegli anni con nostalgia e rimpianto». Per questo Lorenzo, quando anche già importante e famoso, ritornava spesso nel paese reggiano, con lo spirito disarmato del bambino di un tempo. Lorenzo, per i giovani d'allora, al culmine della sua carriera - dice bene la sorella Gabriella oggi - «rappresentò la speranza di raggiungere, nell'ambito del proprio lavoro, la realizzazione dei desideri di ciascuno». Poi Lorenzo che si fa uomo, che impara, si applica, mette del suo, spende coraggio, scommette con sé stesso per lanciarsi su un bolide a 300 all'ora. Era un meccanico, non soltanto un pilota. Ce lo dice l'allora caposquadra meccanici della Ferrari di Formula 1, Giulio Borsari: «Bandini era cresciuto un gradino alla volta. Sapeva come diciamo noi emiliani quel che costava il pane. Non era arrivato con la "sparata" improvvisa, come allora Parkes (...): tutti bravissimi al volante, poco meccanici e arrivati con grossi "pilotaggi" alle spalle. Lorenzo, invece era arrivato al massimo livello dei grandi in F1 percorrendo una strada normale, bianca, anche polverosa, come allora erano ancora le strade nei nostri paesi emiliani. Se non fosse morto a 32 anni, Lorenzo avrebbe avuto almeno sette-otto anni di grandi successi. Stava facendo cose straordinarie in un circuito tortuoso come Montecarlo: andava fortissimo sul veloce. Magnifiche, ricordo, le sue prestazioni al Nuerburgring - che gli piaceva molto - considerata la pista più difficile e più tecnica del mondo ancora oggi: un circuito temuto anche da Lauda. Allora le Ferrari non erano le migliori in assoluto in F1: lottavano a livello di almeno altre cinque marche. E, col mezzo che aveva, nel '67, Lorenzo poteva iniziare la grande stagione Ferrari: certamente Bandini era cresciuto, alla pari della vettura rossa, negli ultimi due anni». E poi Borsari - che nella sua carriera di meccanico in F1 ha all'attivo quasi 500 Gran Premi - aggiunge: «Anche dopo il 2000, piloti come Bandini saranno sempre utili, indispensabili: sono un patrimonio per una casa costruttrice, per una scuderia corso. Un pilota che, quando scende dalla vettura, è in grado di dire ai tecnici, ai meccanici, dove devono mettere le mani, credo sia un conduttore universale senza tempo, alla lunga vincente». Anche l'ingegner Mauro Forghieri, da posizione diversa, visse le esperienze di quegli anni 60 in Ferrari con il coetaneo Lorenzo Bandini: «Lorenzo voleva diventare un campione. Nella sua carriera mise il massimo della serietà. Per lui la carriera di pilota era una ragione di vita. E, infatti, la sua vita era tutta condizionata, centellinata dal fatto d'essere sempre al meglio, per poter affrontare i problemi che un mestiere così difficile presenta ogni giorno a chi lo sceglie. A Bandini piacevano i circuiti tortuosi: Montecarlo, poi, per lui rappresentava un mito. Era un pilota di guida. Parlare di Lorenzo mi riempie di nostalgia - conclude Forghieri per venticinque anni progettista Ferrari - e al tempo stesso di rammarico, pensando che è sparito tanto giovane, quando ancora stava raggiungendo il suo massimo obiettivo, in parte già guadagnato». E aggiunge una riflessione: «Il tempo che passa aiuta a scolorire gli eventi della vita. Ad un certo punto ce ne andiamo. Tutti. Ma è giusto non dimenticare». E come si potrebbe dimenticare il corpo di un giovane, orribilmente offeso da una sciagura della quale si poteva almeno evitare l'epilogo piú agghiacciante? In quella triste domenica di maggio, quando sulle strade del Principato ci si giocava la vittoria, la disorganizzazione alzò la posta, ponendo sul piatto anche la vita del pilota italiano: tre minuti e più furono necessari ai soccorsi per raggiungere la Ferrari, che bruciava capovolta su un fianco. E sotto, Lorenzo Bandini, avvolto dalle fiamme alimentate dalla benzina dei due serbatoi. La forza ed il coraggio di qualche sprovveduto spettatore, che armato di cime tentava di girare la monoposto, non furono sufficienti a risolvere la tragedia. Bandini, in pieno recupero su Dennis Hulme, aveva urtato una grossa bitta d'ancoraggio del porto monegasco andandosi a schiantare contro un palo. Il fumo nero raccontava agli spettatori sparsi sul percorso il dramma che si stava consumando, ma la corsa proseguiva. Molti, anche quelli più vicini al luogo dell'incidente, erano convinti che il pilota non si trovasse più nell'abitacolo. De Angeli, industriale farmaceutico, a Monaco con l'amico Giancarlo Baghetti, fu uno dei primi ad accorrere e, dopo il primo intervento dei pompieri con lo schiumogeno antincendio, raccontò: «Bandini era al posto di guida ed appariva come un fantasma: interamente bianco di schiuma e con il sangue che colava dal naso. A quel punto la Ferrari ha ripreso a bruciare. (...) Anche il corpo di Bandini ha ripreso a bruciare: spaventoso!». Ma Lorenzo ancora non si arrese e, sebbene completamente ustionato, lottò ancora con la morte per una settimana prima di chiudere per sempre gli occhi, l'unica parte che il fuoco gli aveva risparmiato. Ed ora, dopo trent'anni, noi che non siamo più i ragazzi d'allora, abbiamo voluto ricordare la tua storia perché ci sia sempre un Lorenzo, "un ragazzo come noi", da raccontare anche ai nipotini. Un ragazzo come noi che, forse era diventato uomo troppo in fretta.

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